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Intervista a Dario Franceschini: «Si torna a investire in cultura»

Il ministro a Mix 24: «L’art bonus agevola le imprese. Spero che crei voglia di mecenatismo»

di Giovanni Minoli

 

Dario Franceschini, 57 anni , ferrarese. Sposato con tre figlie, l’ultima ha un anno. Famiglia con padre partigiano e mamma fascista. Democristiano da sempre nella Ferrara rossa. Avvocato, scrittore, appassionato di moto, musicista dilettante di jazz. È stato tutto: popolare, prima prodiano, poi veltroniano, poi lettiano e infine rottamatore con Renzi. Adesso in casa sua sono di moda i beni culturali. Lui “totus politicus”adesso di sé dice: «sono solo un ministro tecnico». Tecnico, forse, ma anche il più importante del governo Renzi.

Ministro Franceschini, lei sarà tecnico, ma è uil più forte del governo Renzi. Lo provano i 200 milioni ottenuti per la cultura in questa legge di stabilità, mentre negli altri ministeri si taglia. Come ha fatto?

Sono anni che si taglia la cultura. Renzi è stato sindaco di Firenze sa cosa vuol dire investire in turismo, cultura.

Lei ha dedicato la conferenza stampa di presentazione dei 200 milioni ai gufi. chi sono i gufi per lei?

Io non uso questo termine però Stefano Benni ha rifiutato un premio per via dei tagli alla cultura gli ho ricordato che negli ultimi due anni i tagli non ci sono stati e gli ho detto forse è meglio aspettare la legge di stabilità per vedere se ci saranno tagli o incrementi.

Ma sono cifre scritte definitivamente a penna, o ancora a matita?

Sono a penna nella legge di stabilità inviata in Parlamento, non credo proprio che il Parlamento ridurrà gli incrementi alla cultura.

E come ha convinto Renzi a investire sulla cultura?

Non c’è stato bisogno di convincerlo, è chiaro che un investimento in cultura è un grande contributo alla crescita economica del paese. Io l’ho detto il primo giorno, mi sento chiamato a guidare il ministero economico più importante. La politica nazionale non c’ha creduto, se ci crede darà un grande contributo a creare occupazione e a tutelare il patrimonio.

Ministro Franceschini, è lei che ha voluto fortissimamente il ministero della cultura?

È vero, io il ruolo più bello che ho avuto è stato vent’anni fa l’assessore alla cultura e al turismo di Ferrara. Ho sempre guardato il ministero della cultura pensando che lo stato non ci ha mai creduto quindi ho chiesto di andare lì.

Ministro Franceschini, trasformare la cultura, come dice Cacciari, in un “servizio pubblico essenziale” per evitare situazioni come quelle che si sono create dopo lo sciopero del Colosseo, è un’idea?

L’abbiamo fatto, il decreto legge sta andando avanti, non si può immaginare di avere turisti in fila che arrivano da tutto il mondo, le immagini negative che girano in tutte le televisioni del pianeta, per esercitare un diritto che può essere esercitato mai in un altro modo compatibile con il diritto dei turisti.

Ma sono più importanti i diritti dei turisti, o i diritti dei lavoratori?

Possono essere esercitati non in contrasto, non è che saranno vietati gli scioperi o le assemblee, si faranno in modo da garantire contemporaneamente l’apertura.

Parliamo delle sue scelte: su 20 nomine alle direzioni dei musei, 19 sono esterne e sette straniere. Perché?

Non c’è nessun straniero sono tutti europei.

Di fatto agli Uffizi c’è un europeo tedesco, a Capodimonte un europeo francese. Non si fida del personale del ministero?

Ma è stata una polemica assurda. Il direttore della National Gallery, e parliamo dell’Inghilterra è un italiano, pochi giorni fa è stato nominato direttore del British Museum un tedesco, nessuno ha gridato vergogna non abbiamo dato i posti agli inglesi.

Ma questi esterni hanno i poteri necessari per rivoluzionare la macchina?

Certo, la nomina del direttore con questa procedura è l’ultimo passo della riforma, prima i musei erano uffici delle sovraintendenze diretti da un funzionario, adesso hanno un budget, uno statuto, un’autonomia fiscale, contabile, amministrativa, potranno fare.

E quindi sono le sovraintendenze le vittime della sua riforma?

No, le sovraintendenze si occuperanno di tutela, non più di gestione di musei.

Ministro Franceschini, archivi e biblioteche stanno morendo. La biblioteca Nazionale di Firenze ha 165 dipendenti, contro i 1414 della biblioteca Nazionale di Francia. La chiudiamo direttamente?

È vero sono state maltrattate negli anni ma quest’anno è cambiato, ognuna delle due biblioteche nazionali di Roma e Firenze avrà quadruplicato le risorse, abbiamo messo 45 milioni in più nel settore maltrattato degli archivi, delle biblioteche, degli istituti culturali, cioè abbiamo triplicato le risorse.

Ma i primi 500 assunti annunciati dal suo progetto, vanno in quella direzione?
Vanno tutti in quella direzione, la norma prevede che non si assumano custodi o amministrativi ma che si assumano bibliotecari, archivisti, archeologi, storici dell’arte, antropologi, architetti, restauratori cioè tutte le professionalità di cui le università sono piene.

Entro quanto li assumete?
Il concorso si svolgerà tutto nel 2016, verranno assunti dal primo gennaio 2017.

Lei insiste sul concetto di valorizzazione. Ma valorizzazione e commercializzazione vanno di pari passo?

In Italia c’è un grande know how sul tema della tutela, siamo molto avanti storicamente, e dobbiamo essere orgogliosi delle soprintendenze, di aver salvato sostanzialmente i nostri centri storici nel secolo scorso. Abbiamo creduto e investito pochissimo nella valorizzazione. Oggi il Museo deve essere un’esperienza, se ci vai devi stare una giornata, devi avere la caffetteria, devi avere i laboratori didattici, devi avere servizi multimediali. Da noi sono spesso indietro nel tempo, quindi ai nuovi direttori chiedo di innescare un rinnovamento.

 

Ma per esempio, vendere un quadro anche importante per finanziare altre attività, è una buona o una cattiva idea?

Pessima, noi dobbiamo comprarne quadri, non venderne. Ci mancherebbe altro che ci mettessimo a vendere. A parte che non si può perché il codice dei Beni Culturali dà disposizioni ben precise e quindi non si può fare. Anche se si potesse sarebbe sbagliato. Gli altri Paesi si danno da fare per arricchire le loro collezioni non per impoverirle.

 

A proposito di incentivi fiscali, l’art bonus, che permette finalmente di avere benefici fiscali se si investe nella cultura, non sta andando benissimo. Perché?

Io trovo che stia andando benissimo. L’anno scorso, senza campagna promozionale, ha dato 34 milioni, ci sono stati 750 mecenati. Era una misura che veniva interpretata come provvisoria, adesso l’abbiamo stabilizzata per sempre al 65%.

 

Cosa si aspetta da questa stabilizzazione?

Mi aspetto che aiuti ad introdurre la cultura del mecenatismo anche tra i cittadini: gli Amici dei Musei, il crowdfunding, cose che in altri Paesi fanno vivere i musei. Mi aspetto soprattutto che si sveglino le grandi imprese. Per anni le ho sentite dire che non c’era un incentivo fiscale, e che se ci fosse stato avrebbero fatto meraviglie; adesso che c’è l’incentivo fiscale più forte d’Europa, mi aspetto che le grandi aziende vengano a fare la fila negli uffici delle Soprintendenze o nel mio ufficio, ma ancora non c’è una ressa.

 

Nel 2012, Il Sole 24 Ore, ha lanciato un manifesto per lo sviluppo basato sulla cultura, immaginandolo come un sistema integrato con Google, Amazon, Apple, Facebook, è la strada da seguire?

Dobbiamo lavorare in questo incrocio tra nuove tecnologie. Bisogna utilizzarle non esserne terrorizzati.

 

Giovedì ci sarà un nuovo appuntamento del progetto Cultura del Sole 24 Ore. Lei ci andrà? Per dire?

Ci andrò anche perché ci sono andato l’anno scorso, e loro stessi riconoscono che una parte delle cose che erano scritte nel manifesto le abbiamo realizzate. Quindi bisogna andare avanti con determinazione. Poi l’importante è che sia proprio Il Sole 24 Ore, cioè un quotidiano economico.

A.N.FO.L.S.

Promuoviamo la conoscenza dei valori culturali, artistici e sociali del mondo della musica, dell’opera e della danza, al fine di favorire la cultura della musica e della danza come strumento di crescita e progresso civile.

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